si porta a roma… roommates, il tripadvisor dei coinquilini

Proprio da Roma potrebbe arrivare il TripAdvisor per coinquilini. Un’app per il cellulare che vuole rendere più semplice e affidabile cercare un coinquilino. La sicurezza di non beccare il coinquilino di merda nessuno potrà mai dartela. Ma magari potremmo provare a ridurre le possibilità di trovarsi con capelli e peli della barba abbandonati in bagno o i piatti senza Dio nella cucina semiabitabile.

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roommates: il tuo coinquilino ti recensirà

Il social ideato da Fabio, Luca e Louis potrebbe dare una mano. I tre hanno lanciato una campagna di crowdfunding su Indiegogo per raggiungere i 30.000 euro di cui hanno bisogno. Il termine ultimo è tra poco più di due settimane, ma sono fermi a 132 euro. Poca roba. Speriamo in uno sprint finale.

Se il progetto diventerà realtà, ogni utente avrà una “Roommate-Gamer-Card“. Una carta d’identità dell coinquilino, una sorta di bacheca dove ognuno è raccontato per ciò che è nelle 4 mura della casa condivisa. L’app dovrebbe funzionare un po’ come un gioco a punti: guadagni punti quando condividi una tua caratteristica e ti vengono “convalidati” solo quando i tuoi coinquilini avranno certificato la veridicità di quel che dichiari. Si tratta di “recensire” ogni giorno il proprio coinquilino.

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il coinquilino di merda è fermo a zero punti.. si spera..

Niente imbrogli allora: se dichiari che passi da una casa all’altra con un pappagallo starnazzante e sempre pronto a scagazzare ovunque, non riuscirai a far credere di essere accompagnato da due inseparabili coloratissimi. Se quando vai a vedere la stanza fai la timidona verginella, ti sgameranno con un rapido movimento di polpastrelli su touchscreen: ti stai trasferendo al Pigneto non perché sei radical chic, ma piuttosto radical zoccola e ti sei già ripassata tutta San Lorenzo.

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le bambine di Shining: scatta il ricatto ed è un attimo che te le ritrovi nella doppia affianco alla tua

Non voglio sapere i giochi di ricatti e controricatti che si innescheranno. “Se scrivi su roommates che scoreggio ogni tre parole che dico non ti approvo che lavi i piatti”. “Se mi fai passare per zozzona che non rispetta i turni delle pulizie creo un profilo fake e come prossime coinquiline in doppia ti metto le bambine di Shining”. Sarebbero dialoghi poco piacevoli tra coinquilini che si vogliono così tanto bene  …

si porta a roma… Capodanno fuorisede (opzione 1: tornare a Roma)

Il vero fuorisede fuoriposto non fa piani per Capodanno. Se hai prenotato voli mesi fa o se hai già la prevendita della disco in tasca, fatti delle domande e cambia blog. Se invece per te san Silvestro è ancora una nebulosa indefinita, a cui dare una forma solo durante il cenone sei nel posto giusto. Qui l’unico tavolo da prenotare è quello di casa di amici, per sbroccarci sopra alle 4.28 dell’anno nuovo.

Il grande dilemma di ogni fuorisede è se fare Capodanno a Roma o nel paesello natìo. Se gli amici del liceo ti hanno già sufficientemente depresso, prendi un treno regionale e torna in Capitale. Troverai innumerevoli colleghi orfani per una notte. Fingeranno di non avere un padre e una madre, ma solo a cavallo tra 31 e 1.

TV: PAOLINI A GIUDICE ROMA,MAI PIU' BLITZ DAVANTI TELECAMERE

CHI: aspettati anche Paolini tra gli (auto)invitati del cenone

LA CENA: CHI 

Con chi si magna? Le dinamiche di invito al cenone tra fuorisede poracci sono caratterizzate da incontrovertibili meccanismi di agglutinazione. Gruppi e sottogruppi di amici, conoscenti, sconosciuti si aggiungono a questa fantomatica cena. Non puoi far nulla per fermare l’invito selvaggio, senza selezione all’ingresso alcuna. Tanto è l’ultimo dell’anno e siamo tutti una grande famiglia. Il numero di partecipanti è sfuggito al tuo controllo già prima di Natale, l’evento su facebook è pubblico, tanto che si è aggiunto anche l’immancabile Paolini e allora il vero problema diventa il DOVE.

LA CENA: DOVE

Errore 1. Nel pensare quest’evento di fine anno nessuno ha preso in considerazione che tutti i fuorisede fuoriposto vivono in appartamenti in cui lo spazio disponibile si riduce ad una cucina semiabitabile, in cui di solito non riescono a mangiare in pace nemmeno gli inquilini della ridente abitazione. I trendsetter ne sono ancora all’oscuro, ma il must del 2014 sarà cenare in piedi. Quindi anticipiamo le tendenze, tanto siamo gggcciovani. Tra il 28 e il 29, quindi, un martire si immolerà per la causa e metterà a disposizione l’angusta casa, tenendo all’oscuro i propri coinquilini, che dormono beati nei loro paeselli d’origine.

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DOVE: ovviamente nell’estrema periferia. Il concertone da certezza a sogno grazie ad Atac

 Errore 2. Ovviamente questo martire NON abita a san lorenzo, né a piazza Bologna. E’ usuale che la location sia in prossimità del raccordo o giù di lì. L’intenzione di tutti è cenare e poi riversarsi nell’immensa capitale. La città è nostra, la notte è anch’essa gggcciovane come noi e allora nulla può fermarci. Il concertone al circo massimo ci aspetta. Se non che  il vero fuorisede fuoriposto sta a piedi. Non ha auto, non ha scooter. Al massimo una bicicletta hipster per la primavera. Per tutto il resto c’è Atac. A Capodanno. Si. #credici #dontstopbelievin

 

LA CENA: COSA

L’unico tassativo della cena è “ognuno porta qualcosa“. Se gli (auto)invitati sono tutti terroni sarà una profusione di

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COSA: il cuscus – fast and cheap – salva anche il cenone con invitati nordici

 

pasta al forno, torte salate, conserve, salumi, formaggi. Ognuno dei fuorisede a Natale ha amato la propria famiglia e la valigia del viaggio terronia-Roma era carica di LA QUALUNQUE. Il cibo non dovrebbe essere un problema. Ma se ci dovesse essere carenza di alimenti, ricorda che sei gggcciovane, hai magnato come un porco all’ingrasso negli ultimi 10 giorni e a gennaio si torna alla vita normale. Se tra gli invitati/imbucati hai la fortuna di avere qualcuno più a nord di Roma, aspettati solo del vino. Comprato probabilmente al conad prima di venire a cena. Ma va bene così, in qualche modo bisogna pur sempre dissetarsi.

IL DOPOCENA: WHAT?

Se hai letto fin qui e hai   più di 3 neuroni, avrai già realizzato che il dopocena non esiste. E’ un bluff per non sentirsi sfigati chiusi in un appartamento di periferia l’ultimo giorno dell’anno. Fino all’una di notte la maggioranza continuerà a sostenere “dieci minuti e scendiamo”. Ma l’idea di prendere dei mezzi pubblici capitolini, in piena notte, con le panze piene, ubriachi, fa desistere anche il più ggcciovane della combriccola. E allora tutti svaccati sui divani aspettando l’alba del nuovo anno. Da contemplare dopo 3 ore di sonno. Perché se Roma è nostra, siamo noi a non essere di Roma. Sniff. Buona fine, buon inizio.

si porta a roma… (non) fare l’albero di natale

Oggi è domenica 8 dicembre, il ponte dell’Immacolata ha dato forfait e quindi molti fuorisede fuoriposto sono rimasti a Roma a fare l’albero di natale. O meglio, a pensare di fare l’albero. Perché se nelle nostre dimore natie tutti vogliono l’albero ma nessuno lo vuol fare, in una casa di fuorisede occupare così la domenica pomeriggio è proprio utopico. Ecco le possibili soluzioni per non sentirsi il Grinch ed economizzare al massimo dispendi di energie e denaro.

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no, se non ha voglia di fare l’albero non sei il Grinch, sei solo sano di mente


OPZIONE 1: TIENILO GIA’ FATTO

Tutte le case poraccie hanno un antro oscuro. Che sia un angolo del corridoio o uno sgabuzzino inutile, è questo il posto giusto per riporre l’albero di natale. Si, tenerlo lì al buio tutto l’anno, senza smontarlo, con le luci e le palle già appese. Quando arriva l’otto dicembre apri l’altro, frughi tra i gomitoli di polvere e tiri fuori il tuo alberello. Raccatti un comò qualsiasi e ce lo piazzi sopra. tempo perso: 4 minuti circa. No alle manie di grandezza: un alberello di 50-100 cm può andar bene, sennò devi affittare una stanza tutto l’anno solo per l’albero.

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nascondilo nello sgabuzzino: una spolverata e passa la paura

OPZIONE 2: TROVATI LA COINQUILINA CON CARENZE D’AFFETTO

Se sei convinto di vivere in una dimora lussuosa e hai deciso di investire le bustarelle delle zie sull’albero di natale, puoi farlo anche di due metri d’altezza. Sappi che poi ci vuole mezza giornata per dargli un aspetto decente. Se non ne hai voglia, rimanda tutto all’anno prossimo. Hai dodici mesi per trovarti una coinquilina che non ha niente da fare, con traumi d’infanzia, amante del Natale. Comincerà a desiderare addobbi già a novembre, e l’8 dicembre 2014 cercherà di coinvolgerti nell’allestimento dell’albero. Per lei è un momento di comunità, unione e calore umano. Te le confermerai la tua partecipazione per poi pisciarla  all’ultimo minuto con un’ondata di scuse. Al tuo rientro, troverai un favoloso albero di natale nel corridoio.

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scelta minimal: l’albero bianco dei cinesi. irresistibilmente trash

OPZIONE 3: IL TRASH CINESE

Anche se pessimi parrucchieri, i cinesi possono aiutarti a rendere umana la tua casa poraccia. Favolosi alberelli di plastica, già innevati, possono essere una soluzione low cost e senza impegno. Lo lasci senza addobbi, magari con qualche lucetta, e dai quel tocco radical-trash che non metterà il tuo albero in competizione con quelli seri. Lo venderai ai visitatori come una scelta ben precisa: basso profilo, essenziale e minimalista. A lbero simbolico e volutamente trash.

OPZIONE 4: L’IKEA E L’ALBERO A COSTO ZERO

Questa opzione presume un discreto impiego di tempo, ma è l’unica davvero a costo zero. Procurati 14,99 euro e un amico motorizzato. Vai a Porta di Roma ed entra all’Ikea. Qui ti daranno un vero abete di 140cm, da restituire dopo le ferie. Alla restituzione avrai un buono dello stesso importo da spendere all’Ikea. Forse così smetti pure di mangiare nei piatti sbeccati e inizi il 2014 con super coloratissime stoviglie svedesi. E poi vuoi mettere il tocco ‘green’? Alla fine non stai provando ad avere un albero gratis… stai aiutando l’ambiente, no? ATTENZIONE: i 14,99 non includono il vaso… non andare coi soldi contati, poraccio!

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Ikea ancora di salvezza: albero a costo zero, o quasi

si porta a roma… rimedi contro il gelo capitolino: i termosifoni

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i paraorecchie: segno distintivo della freddolosa bimbaminchia. scappa.

Ne hanno tutti almeno una in casa, come la Peroni di riserva e l’accendigas. Solo che lei è un essere animato e lamentoso. Parlo della fuorisede fuoriposto freddolosa. Mentre il resto del mondo sta ancora a villa Ada a giocare a pallone, lei è con le sue mantelle a coprirsi quei 45 chili di pelle e ossa che si ritrova. Diffida di chi indossa paraorecchie: o è una bimbaminchia (se sono rosa e di peluche) o è una matta (se davvero li mette per il freddo). Ma il rischio che sia una bimbaminchia matta di 25 anni è alto.

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i riscaldamenti: co sti soldi ogni inverno ti pagheresti una vacanza

LA FUORISEDE FREDDOLOSA

Ecco, se in casa hai un tipo del genere – non abbassare la guardia: ne esiste anche la versione maschile, e ne parlerò al femminile, femminuccia – ti suggerisco di abbatterlo prima che arrivi l’inverno vero. Perché se tutto l’anno è na lagna con lo scaldabagno – fa la doccia ustionante pure a ferragosto – è verso metà ottobre che la freddolosa inizia a rompere il cazzo pesantemente. Sia che tu abbia i riscaldamenti centralizzati, sia che tu li abbia termoautonomi, la fuorisede freddolosa sarà comunque fonte di problemi.

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breaking news: il personaggio di Linus è ispirato alla fuorisede freddolosa

I CENTRALIZZATI

Di solito i riscaldamenti centralizzati stanno accesi circa 20 ore al giorno. I costi sono folli e le voci degli studenti sono inascoltate dal resto del condominio. Il potere è nelle mani degli anziani che abitano lo stabile: agguerritissime vecchiette immortali che hanno sempre freddo, in cui la fuorisede freddolosa si specchia e rivede tra cinquant’anni. Il risultato? In casa si raggiungono i 40 gradi. Le persone normali gireranno a maniche corte e l’albero di Natale sembrerà fuori luogo anche il 20 dicembre. Ma lei, la freddolosa, avrà addosso tre felpe e due sciarpe, e condirà questo sua condizione con insopportabili lamenti sul freddo. Come se fosse nata e cresciuta a Copacabana con 28 gradi tutto l’anno – e non in quel paesello umido sull’appennino umbro. Si opporrà con tutte le sue forze all’apertura di finestre. Mentre gli altri inquilini cercheranno aria fresca, lei rimarrà chiusa in camera sua avvolta nella copertina in stile Linus. Se fumatrice, rischierà di morire intossicata dal suo stesso fumo.

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il caso umano vero: la fuorisede freddolosa che produce gli indumenti di cui si copre

I TERMOAUTONOMI

I riscaldamenti regolabili in teoria sarebbero una grande fortuna, dato che rendono le tue misere finanze indipendenti dai bebè e dalle nonne del condominio, ma in pratica possono essere l’inizio del tuo dramma. Se ci si mette la freddolosa di mezzo, è finita. Si innescherà una giungla di supposizioni, controlli, sospetti. Dopo aver perso la battaglia per farli tenere sempre accesi, la freddolosa farà buon viso a cattivo gioco, e un po’ come i 101 traditori del PD accenderà il termosifone di camera sua di nascosto. Giurerà sui suoi avi di non averlo mai fatto e davanti all’evidenza della temperatura equatoriale di camera sua si improvviserà meteorologa. “La mia camera è esposta al sole, ha le pareti più spesse, è allineata con Venere e Saturno” o ancora “emano più calore di voi, apro meno la finestra… ma queste lampadine fanno un sacco di calore!”.

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ricorda: devi agire sul detentore. almeno credo… qualcuno ha amici idraulici?

LA VENDETTA

Lì per lì non puoi far altro che ridere alle sue goffe giustificazioni. Per poi vendicarti… immagina di svitare, solo un poco, la valvola del termosifone. Se non lo accenderà, non se ne accorgerà nemmeno. Ma in caso contrario si ritroverà la camera allagata. E non potrà chiedere l’aiuto dei propri coinquilini senza essere colta nella menzogna. Te preparati a sghignazzare quando la vedrai muta e china sul pavimento ad asciugare.

 

si porta a roma… rimedi contro il gelo capitolino: lo scaldabagno

Ebbene, le ottobrate romane son finite e tutti i domiciliati a Roma, senza essere avvertiti e senza fare un passo, si son trasferiti al polo nord. In attesa della neve, vento, pioggia e alcuni teneri esemplari di Pingu che si aggirano tra il Quirinale e piazza Bologna. In questi momenti più che mai, l’acqua calda diventa una questione vitale. Perché se c’è una scoperta per nulla scontata nelle case dei fuorisede fuoriposto è proprio l’acqua calda.

se non hai amato Pingu prima di andare a scuola, non potrai mai amare davvero

se non hai amato Pingu prima di andare a scuola, non potrai mai amare davvero

LO SCALDABAGNO: COMPAGNO DI TAZZA

Da un sondaggio condotto da me medesimo, emerge che sull’intera popolazione di fuorisede, circa il 75% ottiene l’acqua calda grazie allo scaldabagno: si, quell’affare cilindrico e bianco che c’è in bagno, con una lucetta rossa. Se non hai lo scaldabagno in casa, non sei abbastanza poraccio per questo blog: clicca altrove. Quel misterioso aggeggio è il compagno di bagno di ogni fuorisede che si rispetti: da salutare ogni mattina sbattendoci la testa contro. La negoziazione delle regole di convivenza può portare a due distinte modalità di gestione del ‘cilindro bianco con lucina’, a cui sono sottese due visioni delle scarse risorse pecuniarie a disposizione, ma anche due visioni della vita. Approfondiamo.

la Rottermeier, l’unica che si ricorderebbe di riaccenderlo…

FUORISEDE PORACCIO: SPEGNERE E ACCENDERE

Il poraccio dentro, duro e puro, si batterà per spegnere e accendere lo scaldabagno secondo necessità. Dati i tempi biblici di cui lo strumento ha bisogno per portare a temperatura umana quella manciata di litri d’acqua che contiene, di solito la soluzione è la seguente: lasciarlo acceso durante la notte e al mattino i vari abitanti della casa si fanno le docce e poi si spegne. Tre ordini di problemi. UNO: chi l’ha detto che al mattino il fuorisede fuoriposto si svegli e soprattutto.. si lavi. DUE: su quali elementi si ha la certezza che l’acqua contenuta lì dentro basti per far docciare tutti. TRE – la fondamentale, rullo di tamburi: chi riaccende lo scaldabagno prima di andare a dormire?

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definizione tecnica: cilindro bianco con lucina rossa

A meno che tu non viva con la signorina Rottermeier, la probabilità di svegliarsi alle ore 7, con il cielo ancora cupo (maledetta ora solare!) e la certezza di doversi lavare con acqua congelata è altissima. Arrivare alla decisione di accendere e spegnere lo scaldabagno nasce dalla convinzione che l’aggeggio in oggetto sia il principale consumatore di energia elettrica, ma soprattutto che durante la notte l’energia costi meno. Entrambe le affermazioni risultano da provarel. A tal proposito consiglio una verifica: si narra di comunità di fuorisede che per anni si son fatti docce ghiacciate, per poi scoprire che il proprio contratto con prevedeva fasce orarie di risparmio energetico. Bella storia…

FUORISEDE STICAZZI: LASCIARLO ACCESO

L’altra grande fazione è composta da chi, pur essendo povero, si vive incredibilmente ricco. E allora non è interessato a costi energetici e lascia lo scaldabagno sempre acceso. De noche y de dìa (ve lo ricordate Giorno&Notte?! canzone cult). Quando arriverà la bolletta supercara incomincerà ad accusare qualsiasi elettrodomestico tranne lo scaldabagno: il povero forno a microonde – acceso una volta alla settimana per 30 secondi, la lavatrice – sosterrà che in inverno non serve lavare i vestiti tanto spesso, perfino il tostapane e l’asciugacapelli saranno chiamati in causa. D’altronde, siamo sicuri che con le docce mattutine ghiacciate il ‘fuorisede poraccio’ non spenda quello che risparmia dall’elettricità in medicine per curare influenze e raffreddori

Con questa inquietante domanda, consegno alla tua coscienza (?!) e alla tua ragionevolezza (?!?!) la questione dello scaldabagno. Next step, i riscaldamenti: termoautonomi vs centralizzati.

si porta a roma… i piatti senza dio

E’ la prima causa di scontri tra coinquilini. Può portare a creare identità sospette in casa, intrighi più torbidi del datagate di Snowden.

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il buongiorno-tipo del fuorisede fuoriposto

Lavare i piatti è LA questione della convivenza tra sconosciuti. Per due motivi universali. Primo: si mangia almeno tre volte al giorno, quindi l’eventuale aspetto problematico  si ripropone con maggiore frequenza di quanto l’essere umano medio faccia la cacca. Secondo: lavare i piatti sta sul culo a tutti. C’è chi poi li fa e chi no, ma proprio a nessuno fa piacere, dopo il caffè, dopo la sigaretta, alzarsi e iniziare a scrostare la griglia e maledire il momento in cui hai deciso di fare la carne alla brace.

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lavastoviglie: la sua assenza definisce la casa dei fuorisede fuoriposto

LA REGOLA

Si narra che in alcune case di san lorenzo si sia provato a fare i turni anche per lavare i piatti. In queste sparute isole in cui si crede all’autogestione, alla fratellanza tra pari e a babbo natale si prova a far andare avanti un sistema simile a quello delle pulizie. Ci vorrebbe un pamphlet per elencare i motivi per cui è un’incredibile cazzata. Per economia cognitiva di suggerisco di passare oltre e fissare la regola “ognuno si fa i suoi”. Quando si mangia insieme, uno cucina, un altro fa i piatti e se c’è un terzo fa il caffè. Ma la regola deve rimanere sempre “a ciascuno il suo”.  Almeno in teoria.

LA COLAZIONE

Le prime falle del sistema emergono già appena svegli. Non ho mai conosciuto qualcuno che si lava la tazza/tazzina/coltello con cui ha fatto colazione. Se ne conosci qualcuno così, diffida di lui: è un fissato. Considerando che in una casa di fuorisede fuoriposto vivono in media 4-5 persone, già prima di pranzo si è creato un piccolo cumulo di piatti senza dio. E cioè quelle stoviglie che si accumulano nel lavandino 

Madonna lava i piatti per Dolce & Gabbana

prova a sentirti Madonna per D&G, po esse che ti viene voglia

per un numero imprevedibile di ore/giorni senza che nessuno ne riconosca la paternità. Per i piatti mattinieri, la possibilità che qualcuno dei coinquilini abbia la forza di lavarli durante la giornata è un po’ più alta. Ma in ogni caso non ci scommetterei nemmeno il Bic rubato poco fa. Probabilità di abbandono: 99% (se sei nell’altro 1% smetti di leggere).

IL PRANZO

A metà giornata vanno tutti di fretta. Molti magari non mangiano a casa, ma chi lo fa i piatti non li lava. E’ una legge probabilistica scientificamente provata da me. Chi deve uscire subito – “ragà sono solo due cose, ho mangiato nel piatto di plastica, ora scappo” – , chi lavora – “vabbè ma voi oggi pome non avete un cazzo da fare, io sono già in ritardo il capo si incazza” – , chi si spara un cannone dopo pranzo e muore sul divano – e non rilascia dichiarazioni in merito ai piatti -, chi è convinto di farli prima di cena – “lo giuro, quando faccio pausa studio a metà pome li faccio. Superfluo qui specificare che i piatti del pranzo hanno un’altissima probabilità di essere abbandonati a se stessi. Direi un 70%.

 

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LA CENA

Se hai letto fin qui, potrai evincere che se c’è un momento in cui sti cazzo di piatti vengono lavati è la sera. Effettivamente qui le probabilità di abbandono si abbassano: si ha un po’ di tempo in più, ci si è accorti che non si hanno più bicchieri puliti, le cose inziano a cadere da sole dal lavandino. Insomma, arrivati a sera i segnali che indicano la necessità di un intervento sono molteplici. E spesso il fuorisede fuoriposto recupera quel guizzo di amor proprio e li lava. Come lo fa, non sto qui a dirlo. Dato che è comune dover rilavare la padella: ancora unta dopo l’intervento del coinquilino che non conosce l’uso dello sgrassatore. Ma volendo rimanere sulla quantità, dopo il tramonto le possibilità che i piatti rimangano senza dio calano al 50%

I PIATTI SENZA DIO: LA NASCITA

E questo 50% che resta? Ecco, qui inizia la battaglia psicologica. Roba a metà tra l’Enigmista e Sherlock Holmes. Perché una volta che c’ha dormito su, il proprietario della sporcizia attaccata a quei piatti ha rimosso ogni paternità da proprio dna. Al sorgere del nuovo giorno, semplicemente non li riconosce più come propri. E qui quelle stoviglie diventano davvero senza dio. Da questo momento in poi la poca voglia di lavarli c’entra poco. Diventa quella che si definisce “questione di principio: si mette alla prova la gente con cui si vive, cercando di conoscerli nel proprio intimo (no, non dove c’è Chilly).

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il fuorisede inizia a lavare i piatti: evento, segnati la data sul calendario

LA CRESCITA

Tutti i fuorisposto continueranno a cucinare decidendo il menù in modo da non aver bisogno di quello che c’è sporco nel lavandino. Rinunceranno ad uno delle vaschette quando dovranno lavare i piatti. Si incomincerà ad indagare, chiedendosi di chi siano. Si identificherà la pietanza i cui resti sono ancora riconoscibili. Si scaverà nella memoria per provare a ricordare chi ha mangiato la pasta al tonno nelle ultime ore. I sospetti si cominceranno a concentrare su una o più persone. Ma se non si arriverà alla certezza, l’indagato continuerà a negare fino alla morte, con la stessa faccia di culo della D’Urso quando nega il botox.

LA MORTE

Tutto ciò può durare anche giorni. Ogni mattina il fuorisede fuoriposto si sveglia, inizia a fare il caffè e saluta i piatti senza dio. In quel momento il suo pensiero va al suo personale sospettato e gli augura una giornata di merda. Poi ci sono quelle volte che un lampo di dubbio gli illumina i due neuroni che si ritrova: “e se fossero i miei?!”. Dopo tre giorni passati a sospettare tutto di tutti, a credere che il proprio coinquilino fosse capace di mentirgli guardandolo negli occhi, si insinua un dubbio nella coscienza. E allora con un flashback degno di ‘the butterfly effect’ il fuorisede fuoriposto recupera ciò che aveva rimosso, ricostruisce gli ultimi pasti e, senza farsi vedere da nessuno, lava i piatti. Negherà anche di averli lavati, che equivarrebbe a riconoscerne la paternità.

Smetti di spacciarti per eroe quando lavi i piatti senza dio. Nessuno ha fede in te quando inizi con il pippone “oggi ho lavato i piatti vecchi di tutta la casa, se fosse stato per voi avrebbero fatto la muffa”. Non hai alcuna credibilità. Se hai ceduto, è solo perché erano i tuoi.

si porta a roma… il congelatore immaginario

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mi addolora dirtelo, ma nel tuo freezer non c’è Narnia

Quando cerchi una casa da fuorisede fuorisposto, subito dopo il bagno ti mostrano la cucina (tassativamente semiabitabile) e tu intravedi un frigorifero. Di solito almeno un quarto di questo rettangolo bianco è un congelatore, ovvero dove pensi che potrai custodire la miriade di piatti pronti che mammà sta già preparando. Dai contorni di verdure alle lasagne, dall’arrosto alla pasta al forno. La tua immaginazione, sprezzante di ogni dato di fatto, credi che lo sportello del congelatore sia l’ingresso di Narnia.

SOGNI INFRANTI

Ma il sogno, come molte cose belle, finisce presto. Ti sei fatto due conti: siete quattro in casa, quindi almeno un quarto di questo rettangolo sarà occupato da cibi miei. Ma il primo contatto con la realtà non tarda ad arrivare: apri il freezer e ti cadono due gelati sui piedi. Erano in un equilibrio precario degno dei performer del Cirque du Soleil . Ingrato. E così ti ritrovi da solo, in una cucina zozza, con in mano il contenitore ricolmo di cotolette di mamma da congelare e zero spazio in freezer.

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come pensi che sia

FANTASMI DAL PASSATO

Il primo istinto è di buttar via tutto. Fare il vago il giorno dopo sperando che i coinquilini abbiano congelato il tutto con la mente annebbiata dall’erba. Poi pensi ai bambini in Africa e a tua nonna che durante la guerra sotterrava il pane, e così decidi di provare a fare una selezione.

Intravedi carni accartocciate, con aspetti improbabili. Su alcuni sacchetti ci sono scritti nomi di proprietari sconosciuti. Ti interroghi su come si chiamino i tuoi coinquilini, e prendi atto che in quel freezer c’è un’eredità dimenticata. Aleggia in quell’angolino ghiacciato della cucina l’inquietante ombra di vecchi abitanti del passato, magari proprio della stessa matta che ha tinteggiato di rosa e viola le pareti di camera tua. E’ tornata a colpire, sfidando il tempo e lo spazio, e occupando il tuo posticino nel freezer.

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come è realmente

LA RIUNIONE

La soluzione ragionevole è aspettare. Per ora mettere le cotolette in frigo, e il giorno dopo convocare una riunione con i coinquilini e fare un inventario del freezer. Preparati: sarà un momento da ricordare. “Ragazzi ma è un peccato buttare le cose dei vecchi coinquilini, piano piano le mangiamo noi”. E allora domandi dove mettere le cose che hai da congelare. Ora, subito. “Vabbè mo scongeliamo una cosa per uno e facciamo spazio”. Iniziano gli scavi. Il primo dato rilevato è l’enorme quantità di ghiaccio. E’ una precisa volontà quella di non sbrinarlo; così quando non pagherete la bolletta e vi staccheranno la luce, avrete modo di trovare il lato positivo della situazione: almeno c’ha fatto spazio in freezer.

L’IDENTIFICAZIONE DEI DISPERSI

Gli scavi proseguono, spuntano intere torte yogurt dimenticate da Dio, pezzi di pane cafone provenienti da chissà quale brullo altopiano pugliese, contenitori senza identità, così antichi e opachi dal non permettere l’identificazione. E qui scatta la rivendicazione selvaggia. Tutti, senza manco saperne il contenuto, sono convinti che sia il proprio. Ognuno racconta la nitida scena in cui la madre riponeva i cannelloni proprio lì dentro. Non c’è dubbio. Se lo scontro prende una piega pacifica, si aspetta lo scongelamento e si lascia che la verità emerga da sola. Se invece la discussione di accende troppo, cambia casa: stai a vivere coi matti.

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il pozzetto: quella che credi sia la soluzione suprema

L’IDEONA

Il risultato della riunione/inventario di solito consiste nell’ottenere circa un decimo dello spazio a cui ambivi e la promessa che piano piano se ne libererà altro. Ma passano i giorni e ad ogni spesa i coinquilini rincasano con cibi surgelati da ficcare lì dentro. E allora spunta l’IDEONA, che proponi la sera, dopo un paio di birre doppio malto che hanno reso gli interlocutori mansueti: “compriamo un congelatore a pozzetto da mettere nello sgabuzzino”. Occhi sbarrati. Sguardi attoniti. Smorfie di disgusto. I tuoi interlocutori non riescono a proferir parola. Sono sconvolti da tanta audacia. In quattro secondi quattro si boccia l’ideona di cui andavi tanto fiero: il congelatore consuma corrente, la bolletta è già cara.

Ci vorrebbe un libro sulla gestione dei consumi elettrici in casa, io posso timidamente promettere un prossimo post al riguardo. Anticipo una riflessione, da ignorante in materia. Ma quanto cazzo può consumare? dieci euro in più al mese? Che in quattro sono 2,50 euro? che se trovi la carne in offerta ne compri i quintali, la congeli e li risparmi 4 volte?

LA SCELTA SALUTISTA

Ebbene, alla fine ti rassegni a non avere un congelatore. La tendenza umana alla felicità ti porta a costruirti delle nuove convinzioni. Congelare i cibi fa perdere tutte le proprietà nutritive. Scongelare col microonde fa malissimo. Il pane fresco è tutta n’altra cosa. Insomma, ti convinci di poter vivere anche senza freezer. D’altronde, se sei riuscito a credere che sia normale vivere con un pappagallo che scagazza in giro, vuol dire che puoi credere davvero tutto, anche che Ruby sia la nipote di Mubarak. #dontstopbelievin #credici

si porta a roma… (non) fare la raccolta differenziata

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la camionetta dell’Ama: l’unica vera amante dello sfigato fissato

Ambientalisti capitolini rassegnatevi: la raccolta differenziata a Roma non si fa. Possono annunciare quello che vogliono, ma alla fine nei secchioni c’è di tutto, peggio che nella dark room del mucca. Non la fanno gli abitanti, ma soprattutto non la fa l’Ama, almeno stando alle testimonianze oculari del fuorisede sticazzi. Tenendomi lontano da intenti d’inchiesta giornalistica, qui c’è solo il timido intento di delineare le ripercussioni antropologiche e sociorelazionali della sensibilità green sui fuorisede fuoriposto.

Perché attorno ai rifiuti c’è tutto un mondo ideologico, che va dal capitalismo convinto al capitalismo con sensi di colpa fino ad arrivare al vivere nel mondo di Heidi e credere che esiste ancora il socialismo.

LO SFIGATO FISSATO

Lo sfigato fissato è un greenpeace senza palle, che non ha voglia di farsi arrestare in Russia e erge la raccolta differenziata a missione di vita, espiando così il proprio attivismo mancato. Non ha un lavoro? fa nulla. E’ un tossicodipendente? nessun problema. Non scopa da circa 6 mesi? poco importa. Per dare un senso alla sua vita basta che il vasetto dello yogurt venga lavato prima di essere gettato. Ciò vuol dire che non laverà i propri piatti per 4 giorni pur di dare la priorità al vasetto. Peccato che in questa dinamica pretenda di coinvolgere i propri coinquilini. Vivere in regime di polizia permanente è la prassi per chi la ha sfiga di avere lo sfigato fissato sotto lo stesso tetto. Non auguro a nessuno i momenti di panico quando non sai dove buttare l’incarto dell’affettato della salumeria.

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Bradypus pygmaeus è in via d’estinzione, come la credibilità del doppiogiochista

IL FUORISEDE DOPPIOGIOCHISTA

Il fuorisede doppiogiochista è infido come la blatta che in questo momento sta sguazzando nel sacchetto dell’umido (si, quello che perde, perché lo sfigato fissato non si rassegna a riconoscere inutilità dei sacchetti bio). Di solito ama votare PD di nascosto e riempirsi la bocca con la teoria dei rifiuti zero e la sostenibilità ambientale. Nel proprio intimo però, è un democristiano vecchio stile e della raccolta differenziata gliene frega più o meno quanto il rischio di estinzione del bradipo pigmeo. Se lo osserverai con attenzione, non sarà difficile coglierlo con le mani nel sacco (dell’immondizia) mentre butta la lattina del tonno nell’indifferenziato. Utilizza questo suo lato oscuro come arma dialettica quando ti dirà che questa settimana hai saltato i turni delle pulizie.

IL FUORISEDE STICAZZI

Il fuorisede sticazzi invece è fiero del proprio menefreghismo. Si batte affinché non si differenzi e mette in atto continue pratiche di sabotaggio esplicito ed implicito. Sa come far incazzare lo sfigato fissato: buttando i piatti di plastica nella plastica, fingendo di non sapere che in realtà non si riciclano. “Ma tanto lo sanno tutti che alla fine svuotano tutti i secchioni nello stesso camion e mischiano tutto”: periodicamente giura sulla propria madre di aver visto questa scena con i propri occhi, senza avere nessuna credibilità. Spesso riesce a portare il doppiogiochista dalla propria parte e quando il fissato non è in casa i due suonano campane a festa e per celebrare le ore di libertà ingurgitano birre – le cui bottiglie di vetro finiranno rigorosamente nel cestino della carta, cosi non fanno rumore. Nella variante con un minimo di senso civico, il fuorisede sticazzi è facilmente identificabile perché è sempre lui a portare giù l’immondizia: almeno ha la decenza di buttare tutti i sacchetti nell’indifferenziato.

do not forget: sgrassa la scatoletta di tonno prima di buttarla. #credici

do not forget: sgrassa la scatoletta di tonno prima di buttarla. #credici

E ora, giusto per esser chiari, ti comunico che sono ancora in corso i miei personalissimi festeggiamenti per essere riuscito ad abolire i 4 cestini dell’immondizia che occupavano circa metà dello spazio offerto dalla cucina semiabitabile. Un unico, enorme, sacco nero in cui buttare la qualunque: essenziale e anche stiloso, a suo modo.  Tanto poi se l’ambiente va a puttane è colpa dell’Ilva di Taranto, della camorra nella terra dei fuochi e della Gazprom che trivella il polo nord.

si porta a roma… (non) stirare: tintorie amiche

Il fuorisede fuoriposto non stira, per default. Puoi essere ricco o povero, bello o brutto, puoi puzzare o profumare, ma se vivi senza mammà tra i piedi sarai riconosciuto con un solo sguardo: ai tuoi vestiti spiegazzati.

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il fuorisede fuoriposto: geneticamente intollerante al ferro da stiro

Vedi camminare incoscienti fuorisede – che siano maschietti o femminucce conta poco – che con una disinvoltura imbarazzante si espongono ricoperti di pieghe dovute alla mancata stiratura del vestiario. Nessuno scampo: anche il più pulito e ordinato si rifiuta di pensare al ferro da stiro come qualcosa di diverso da un’arma da sfoderare in eventuali liti coi conquilini.

Decine le maniere per aggirare la questione, spesso usate in maniera combinata, ma tutte ugualmente deficitarie.

Puntare su materiali innovativi. L’amica – aspirante, sia chiaro – fashion blogger: “la prossima volta vieni con me a fare saldi, ti faccio comprare solo tessuti che non si stirano”. E così fu che ti ritrovasti con addosso chili di costosa plastica dall’osceno gusto, grazie alla quale ottieni l’effetto sauna-portatile. Sudore: tutto intorno a te, come la Vodafone, ma senza Megan Gale.

Stendere con astuzia. Il genio della situazione è quello convinto di avere l’asso nella manica: “Guarda io perdo solo due minuti in più quando li stendo, sbattendoli un po’ e distanziandoli per bene”. Eh si, infatti la tua polo è stata appena arrotata da un camion in corsa, solo per questo ha più rughe della favolosa Marta Marzotto.

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la Marzotto ai suoi 80 anni, nel 2006 o.O

Farseli stirare dalla coinquilina/o sfigata/o. Questa la puoi attuare solo se te la/o scopi, e pure a un certo livello. Non ci sono manicaretti/favori/sostituzioni nel turno delle pulizie che tengano: solo il fornicare può portare a tanto. Ma a quel punto ti sarai scopato la sfigata della casa… fai un po’ te.

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paperinik, sicuramente letto dalla sfigata di cui sopra

Imparare a stirare. Non ci provare. Fai in modo che rimanga uno dei buoni propositi dell’anno nuovo per ogni anno della tua vita. Risparmiati di scoprire quanto tempo e fatica ci vogliono, sarà solo un duro colpo alla tua forza di volontà e alla tua autostima. Ti sentirai inutilmente vecchio quando ti farà male la schiena. Brevetta un modo per stirare seduti senza ustionarsi, piuttosto. E poi sei sicuro di avere un ferro da stiro in casa? 

Shopping selettivo. NO assoluto a camicie, camicette e affini. Bandito il lino e la seta. Niente pantaloni che non siano jeans. Colori tendenzialmente scuri. Insomma, con quel che rimane si può andare giusto a San Lorenzo o al Pigneto.

Ma giungerà il giorno in cui dovrai andare ad una seduta di laurea – se mai qualcuno dei tuoi amici arriverà alla disoccupazione. Giungerà il giorno in cui sarai chiamato per un colloquio di lavoro che non sia da burger king –  se mai prenderai in considerazione l’idea dell’occupazione. Insomma, a un certo punto una camicia te la dovrai mettere. E allora avrai bisogno di una di queste lavanderie, amiche degli studenti squattrinati. Fallo almeno una volta: regala quell’illusoria sensazione di ricchezza almeno quanto il taxi.

Piazza Bologna, viale Ippocrate, verso piazzale delle provincie. 3 euro per lavare e stirare camicie, pantaloni e giacche. Un po’ caro lavare la pelle (ma chi lo lava il giubbotto di pelle?!).

San Lorenzo, via dei Sardi, verso scalo. Anche qui 3 euro per capi standard, e prezzi onesti anche per il piumone che non entra nella tua lavatrice del secolo scorso.

Torpignattara, via acqua bullicante, lato casilina. Da Lavamonoprix le camicie come nuove a 2 euro, solo stiratura 1,50. So cosa pensi, ma se vivi al pigneto non è poi così lontano: motivo in più per andare a trovare quell’amica che vive in culo ma è convinta di stare al pigneto come te.

Lava e Cuce, franchising. Praticamente monoprezzo per qualsiasi capo: 2,20 euro e passa la paura. Consegna in 30 minuti per le camicie. Ce ne sono in giro per roma, ma purtroppo tutti a distanze immorali da casa tua.

si porta a roma… il glossario pseudo romanesco (parte 1: verbi base)

A Roma l’italiano si parla. Più o meno. Cioè anche l’ultimo dei burini risulta grossomodo comprensibile dal forestiero medio. La peculiarità sta che molti romani, all’interno del fluente italiano capitolino, consentono l’introduzione indebita di parole strane. Spesso sono convinti che siano parte della lingua italiana. Magari le pronunciano senza intonazioni diatopiche, inserendole con leggiadria in periodi subordinati. All’estremo opposto si situano i poracci duri, che di queste esternazioni ne fanno un vanto, credendo di rispolverare la nobile lingua popolare di Trilussa.

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versi di Trilussa, a piazza Trilussa, in Trastevere

In un caso e nell’altro, la conoscenza di alcuni vocaboli è necessaria per relazionarsi in città. Sono democratici, intergenerazionali e attraversano le classi sociali, senza discriminazioni né di capitale culturale né di capitale sociale.

E così a volte il fuorisede appena arrivato in capitale finge comprensione e compiacenza, ma – almeno all’inizio – non capisce un emerito cazzo. Qui si prova a facilitare l’impresa interpretativa: il glossario del pseudo romanesco.

vietato-pisciare

vietato pisciare

Pisciare – v.tr. [sogg-v-arg] – è un must assoluto. Si pisciano eventi, appuntamenti, riunioni… ma soprattutto a Roma si pisciano le persone. Si si, in maniera transitiva. “Ieri ho pisciato Tatiana, ero troppo stanco per ascoltare le sue cazzate”. Rimuovi dalla tua mente l’immagine di Tatiana espulsa dalle tue vie urinarie o oggetto di poco ortodosse pratiche sessuali. Semplicemente a Tatiana hai dato buca, le avevi promesso ti saresti sorbito le sue paturnie amorose e poi invece l’hai pisciata, appunto.

Tagliarsi – v.rifl. [sogg-v] – ha una componente abbastanza tragicomica. Qui si tagliano tutti. A tratti ti sembrerà di vivere in una città di isterici emo autolesionisti: gente che dichiara di tagliarsi dalla mattina alla sera. E per di più lo dice col sorriso sulle labbra, come se niente fosse, sentendosi molto la Rettore. “Quando sto con Tatiana mi taglio, sta’ Tatiana fa tagliare”. Puoi evitare di andare in giro a fissare le braccia di tutti gli amici di Tatiana: stanno solo dicendo che è divertente.

Hamtaro 03

ham ham ham

Rosicare –  intr. – è un verbo dadaista. All’inizio credi di avere a che fare solo con decelebrati che a trent’anni ancora vedono Hamtaro e rosicano coi loro incisivi. Poi opti per il piano B: citazione del proverbio, ma dopo poco il contesto ti rivela che questi non risicano né rosicano. “Tatiana ha trovato i biglietti per il concerto dei dei Depeche all’Olimpico, quella fighetta me sta a fa rosicà”. La verità è che questo verbo rievoca il consumarsi interiore dell’invidioso, quell’insopportabile contorcimento di interiora provocato dalla maledetta Tatiana che va al concerto e te no.

Spizzare –  v.tr. [sogg-v-arg] – è il mio preferito. Nessuno dà pizze in faccia, i pestaggi lasciamoli fare ai neofasciti. “Ahò, quello sta a spizzà a Tatiana”.  Approfonditi studi etimologici da me condotti hanno dimostrato scientificamente che è una trasfusione semantica dal gioco delle carte. Qui si tratta di uno sguardo provocatore, sottecchi, nascosto ma non troppo, come quando si scoprono le carte de poker. Tatiana, nonostante sia tarchiata e francamente bruttarella, in questa occasione è stata oggetto di sguardi interessati alla sua fisicità.

Accollarsi – v.rifl. [sogg-v] – credo sia visionario. Chi lo usa può dare l’idea di essere una vacca (o un bue, fai te) con al collo un carico. No, a Roma non sono tutti tori (se lallero…) e nemmeno mucche. “Tatiana ha un po’ rotto i coglioni, ovunque andiamo s’accolla”. Ecco, puoi anche evitare di visualizzare la grassa Tatiana che pende da un cappio legato al tuo collo. L’immagine è molto meno raccapricciante, ma spesso altrettanto funesta. Da tale affermazione si evince solo che Tatiana è solita attaccarsi come una cozza a persone che poco gradiscono la sua compagnia. Porella.

E ora, smetti di chiederti chi sia Tatiana (e Luana?!), clicca i link delle parole per imparare un po’ di grammatica e aspetta la prossima parte del glossario pseudo romanesco.