si porta a roma… lo street food poraccio: top 5

Il fuorisede fuoriposto è solito mangiare a casa. Poi magari esce e beve due mesi d’affitto, ma sul nutrimento risparmia come manco zio Paperone. Ciò non toglie che ogni tanto lo spuntino fuori casa ci sta. E allora ecco la TOP5 dello street food poraccio capitolino. Tassativamente sotto i 5 euro, cioè il budget che di solito rimane in tasca alla mia amica Jessica di ritorno dalla disco – se tutto va bene.

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gli zozzoni: a porta maggiore è un’istituzione della notte poraccia capitolina

5: LO ZOZZONE, Porta Maggiore. Non è sul podio solo perché le condizioni igienico sanitarie lasciano perplessi. Ma si sa, la sporcizia insaporisce. E allora i paninazzi dello zozzone a porta maggiore restano un’istituzione notturna. Il suo camion in pieno romanaccio style è una delle poche certezze della vita per Jessica. Costo: vario, rapporto qualità-quantità/prezzo imbattibile.

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arancine di Mizzica: Jessica le ingurgita in un boccone solo

4: BISTROT 35, Testaccio, via Monte di Testaccio 35. Qui panino con la porchetta obbligatorio. Piccolo, accogliente e soprattutto economico. Perfetto per il post nottata ai locali supertrash della zona. Jessica lo ama per il pre, con le birre artigianali a prezzi onesti, per iniziare a carburare prima di gettarsi in pasto ai latinos del Coyote. Costo: panino porchetta 3,50.

PODIO DEL GRASSO

3: MIZZICA, piazza Bologna. Le arancine – che nascono donna, sia ben chiaro – qui sono un’istituzione. Jessica a tal proposito ha una posizione polemica: dall’alto del suo palato gourmet sostiene che le arancine di ‘mpare (via Catania, sempre in zona) siano meglio. Approfondite indagini hanno appurato che i due sono fratelli e se li fanno arrivare surgelati dagli stessi fornitori siciliani. Sono identici: realtà 1 – Jessica 0. Costo: arancina 2,20.

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la pizza romana con la mortazza: tappa fidata delle 2 di notte

2: KALAPA’, Pigneto. La patata ripiena Kumpir ha il suo perché, ma non riempie lo stomaco di Jessica, tendente all’infinito. La pita è sicuramente più street. E poi qui l’acqua è gratis. Unico appunto: gli sgabelli non reggono il culone di Jessica. Misura il tuo, sennò fatti fare tutto da portare e mangia accasciato sul marciapiede di fronte. Non credergli quando si dichiara ristorante: è fast food 100%. Costo: pita 3,50, patata 4,50.

1: RENATO, san Lorenzo. La pizza con la mortadella è il classico della notte studentesca a base di Peroni e Tennet’s. Unta, bisunta e straunta, disponibile solo da mezzanotte in poi. A Renato si perdona pure il delitto di pesare la pizza alla pala. Jessica è solita comprarne enormi quantità e poi arenarsi nel mezzo della piazzetta triangolare, riversando i suoi rotoli al suolo. Una rivelazione: il vero nome della piazzetta è largo degli Osci. Jessica quando l’ha scoperto – dopo 5 anni di vita a Roma – è rimasta muta per due giorni. Costo: a peso, WARNING!

topografie capitoline vol.2: Parioli e San Lorenzo

Ti trasferisci a Roma, e arriva un momento in cui qualcuno ti chiede il codice di avviamento postale. Magari vieni da un paesino della Basilicata di 800 abitanti e non immagini che una metropoli possa averne anche decine. Contestualmente a questa scoperta – che nel frattempo ti ha sensibilmente cambiato la vita – di solito ne fai un’altra: la tua municipalità.

Nonostante la forma vagamente rotondeggiante della città, però, non funziona ad anelli come nelle vere capitali del mondo, ma a borgate, se manco fossimo rimasti ai comuni feudali. Poi credi che per lo meno tale suddivisione possa avere un senso, ma quando ti dicono che San Lorenzo da qualche settimana è nello stesso municipio dei Parioli, ti accorgi che questa città… un senso non ce l’ha – d’altronde se non ce l’ha la vita, perché dovrebbe avercelo Roma… no, Vasco?

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In ogni caso l’11 marzo scorso è stato deciso che Parioli/Flaminio e San Lorenzo, dalle prossime elezioni comunali di maggio, saranno entrambi municipio II. E fin qui, parliamo di cose note… Meno noto a chi non vive a Roma sarà la stranezza della faccenda, perché i due quartieri sono ciò che di più opposto si possa immaginare. Sono anche tra i più noti e stigmatizzati della città, spesso con luoghi comuni solo in parte agganciati alla realtà, ma comunque divertenti.

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Perché se per la strade di san lollo è prevedibile imbattersi in tipi umani con più piercing che capelli – che magari sono verdi -, i pariolini sanno fare il nodo alla cravatta da quando hanno 13 anni, e nei loro armadi c’è un paio di hogan per ogni giorno della settimana. Se a san lollo c’è la Sapienza (o almeno parte di essa) ai Parioli c’è la Luiss. Se le strade di San Lorenzo si chiamano con nomi di popoli barbari, quelle sui monti Parioli si chiamano come marescialli e generali.

Ma volendo andare oltre la superficie, permettetemi una riflessione ardita. Da come la vedo io, i due quartieri sono opposti in base all’approccio che suggeriscono verso la gestione degli spazi. Provo a spiegarmi meglio: a San Lorenzo gli spazi sono vuoti, da riempire, da reinventare ogni giorno, o anche ogni ora. Così “la piazzetta” si rifà il trucco almeno 4 volte al giorno in base a chi la popola: la mattina i vecchietti a prendere il caffè, il pomeriggio la qualunque, la sera tamburelli e musici, la notte tossicomani e più o meno affidabili venditori di fumo.

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Questo è il quartiere dove i teatri diventano cinema autogestiti, i vecchi cinema diventano centri sociali, il pastificio è un palazzo di uffici poco radical e molto chic, in quelle che furono vetrerie ora si tengono lezioni universitarie e i retrobottega di sera sono piccoli teatri.

Insomma, a san lollo quasi niente è ciò che era. De Gregori ci ricorda che il diciannove luglio a San Lorenzo cadevano le bombe come neve. Questo dedalo di stradine è rinato in fretta, e continuerà a farlo.

Ai Parioli invece non si distrugge nulla, e quindi poco si crea: è tutto deciso a monte, e sul monte. Gli spazi hanno esattamente la funzione sociale e topografica che aveva in mente l’urbanista/architetto/ingegnere. Nulla di male in tutto ciò: il tutto è più prevedibile, quindi più efficiente e, in una parola… ricco. Non c’è bisogno di visite papali, qui.

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Perché alla fine tutto si tiene: toponomastica e abitanti, spazi e pratiche, habitat e habitus. Meno male che l’essere umano è nato in movimento e dotato di libero arbitrio, in modo da potersi scegliere la boccia in cui non ci si sente un pesce fuor d’acqua.