pillola capitolina: gay village, ultimo atto

Ebbene si, tra pochi minuti – alle 20 – aprono le porte dei “Big closing party” del gay village capitolino. Mentre scrivo, gli adorabili poracci fuorisede saranno già lì fuori: i primi 500 entrano gratis, gli altri 18 euro, con tanto di sindaco Marino incluso, alle 22.

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Non oso immaginare la caciara. Etero che calpestano gay che calpestano lesbiche che calpestano bisessuali che calpestano eterocuriosi. E quando si è arrivati a 484 che si scatenerà? Attendo documentazione video con ansia. Orrore.

 

Mentre elaboro un post futuro su quella curiosa congerie umana che il village è, mi permetto di congratularmi con te: se hai letto fin qui, vuole dire che ti interessa il gay village ma sei ancora a casa. Hai eroicamente deciso di rinunciare a 3-4 aperitivi poracci per fare la tua entrata di gran classe dopo mezzanotte, cercando di mimetizzarti tra 30enni lavoratori con la camicia stirata dal filippino. Stima profonda.

si porta a roma… elezioni comunali ipofalliche

Arrivano i risultati elettorali, ballottaggio tra Marino e Alemanno, e la prima cosa a cui pensi è che forse la città non sarà più tappezzata di cuori rossi. Per mesi il fuorisede – come sempre, fuoriposto – ha camminato per strada senza capire se stessero lanciando una catena di sexy shop o un nuovo settimanale femminile…

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Poi, a un certo punto, ha scoperto che è solo la pubblicità di un candidato sindaco a cui è stata progettata una campagna elettorale più sentimentale di Beautiful –  e non ci provate a fare la battuta facile Ridge/Marchini. Il primo è immortale, il secondo vedremo.

Fatto sta che a questa tornata pare si siano messi d’accordo a fare la cartellonistica meno ‘maschia’ della storia: da una parte i super cuori topografici (non sia mai che si dimentichi del cemento) di Marchini, dall’altra Marino a cui hanno disegnato – e colorato, soprattutto – degli slogan degni di un gay pride. Niente candidata donna al Campidoglio? Eccoti le quote rosa 2.0, tié: un salutare DAJE rosa shocking, in un’irresistibile sinestesia che prova a mettere d’accordo i burini – con le parole – e i radical chic – con il colore. Pare pure ci siano riusciti: miracoli PD.

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Poi ci sono i maschi, quelli veri: ne fioccano a destra. Cochi non si è accorto che la metafora della “discesa in campo” è già vecchia di vent’anni, mentre Tredicine gioca – male – sul campo giovane ripescando il più dimenticato tra i font di word 97, schiaffandoci sullo sfondo un Altare della Patria a buffo, un po’ come i giapponesi con le loro macchinette.

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Codesti faccioni si sono contesi le mura della Capitale con Renato Zero. 

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Grandi sfide, altro che Roma – Lazio. Con i concerti al Palaottomatica ha decisamente sfracassato i maroni, ma allo stesso tempo ha dato vita a un ipnnotico Yin e Yang: sulla stessa parete il tripudio di testosterone di Alemanno in fascia tricolore e mento alla Benito, qualche resto della Meloni photoshoppata e gli occhialetti super radical di Renato. Riesci a cogliere hai davanti agli occhi il diavolo e l’acqua santa, ma non sai bene qual è  l’uno e quale l’altro.