si porta a roma… l’ascensore democratico

Non ho aggettivi migliori: gli ascensori di Roma sono osceni. Almeno se ci si limita a considerare le dimore in cui un vero fuorisede fuoriposto può vivere. Nella maggior parte dei casi si tratta di gabbiotti inquietanti che farebbero soffrire di claustrofobia anche chi non sa manco che vuol dire “claustrofobia”.

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Diciamo che ci sono diverse varianti, anche se la sostanza cambia poco. Chiuso incassato nel muro o aperto con le grate, con o senza specchio, a volte trovi pure quelli con la cassetta per la 100 lire… ma quelli che amo incondizionatamente hanno il seggiolone. Ebbene si, in alcune case “antiche” – o meglio, vecchie – ci sono ancora gli ascensori con il sedile ribaltabile all’interno. E’ un po’ un’ammissione di debolezza, in cui l’ascensore sembra dirti: dato che sono lentissimo e ci metterò 3-4 minuti buoni a farti arrivare al settimo piano, almeno ti faccio sedere.

E allora gli perdoni pure che appena fai un passo trema tutto in terremoto-mode, o che si blocca un giorno si e l’altro pure – con tanto di vecchietta urlante intrappolata all’interno -, o ancora che è talmente stretto che bisogna entrarci in fila, chiedendo agli altri inquilini a che piano vanno, perché sennò va a finire che bisogna trasformarsi nell’uomo ragno e saltare in testa alla gente.

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Poi nei palazzi studenteschi di San Lorenzo ci sono gli ascensori pieni di scritte, stupendi graffiti del terzo millennio. Mentre nei condomini borghesotti di piazza Bologna il trash raggiunge livelli impensabili grazie ai rivestimenti interni in una radica più finta delle tette di Valeria Marini. Ma noi i nostri ascensori li amiamo anche e soprattutto così: noir, un po’ cupi, decadenti… sperando sempre non siano anche “cadenti” -__-

Mai li cambieremmo con i loro colleghi delle palazzine di periferia: nuovissimi, lucidi e metallici, magari infallibili, ma tanto tristi. A noi piace proprio aspettare dieci minuti che si liberi e poi prenotarlo premendo il bottone convulsamente per far prima dell’inquilino antipatico del piano di sotto (no, non è contemplata un’intelligenza artificiale tale da farlo fermare da entrambi), e ci piace anche chiedere all’arzilla vecchietta del piano di sopra se si ferma al nostro pianerottolo per raccogliere anche noi nella discesa.

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Insomma, la mancanza di tecnologia crea socialità. E poi l’ascensore a Roma è squisitamente democratico, egualitario. Gli stessi ferrivecchi li trovi sia nei quartieri prettamente studenteschi sia nelle stupende case ristrutturate del centro, a cui magari hanno fatto un super restyling all’interno degli appartamenti… ma lui, l’ascensore, rimane quello del dopoguerra, a testimoniare che anche a piazza di Spagna il tempo passa. E così il politico di turno, che magari si è fatto scarrozzare in auto blu e non ha mai preso la metro nella vita, ogni tanto si ritrova a salire a piedi perché l’ascensore è in sciopero.